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Filippo de Pisis. Il colore e la parola

Data dell'evento: 12 novembre - 11 dicembre 2016 icona per la stampa della pagina

A 120 anni dalla sua nascita e a 60 dalla sua morte, Brugherio torna a rendere omaggio a Filippo de Pisis.

Sono passati venti anni dall'ultima mostra a lui dedicata nella nostra città, e ancora una volta vogliamo ospitare nello splendido contesto della galleria esposizioni di palazzo Ghirlanda Silva le opere di un artista di fama internazionale, che anche a Brugherio, quando la malattia lo tormentava, ha saputo esprimere il suo talento, con capolavori ricchi di straordinaria intensità poetica.

Nell'anno del 150° di fondazione del Comune, tra i tanti eventi che abbiamo promosso direttamente come Amministrazione comunale e tra quelli che sono nati grazie al fondamentale apporto di tante associazioni e realtà del territorio, non poteva certamente mancare un omaggio a Filippo de Pisis, capace di far luce sulla complessa personalità di un uomo, di un artista e di un letterato che ha segnato indelebilmente la storia del Novecento.

Perché il suo è stato molto più che un "passaggio" nella nostra città. Alla sua presenza dobbiamo certamente buona parte di quella vocazione artistica e culturale che fa parte del patrimonio di Brugherio. Una vocazione artistica che abbiamo più volte valorizzato, in questo lungo percorso del 150°, con mostre, incontri pubblici e iniziative realizzate in molti luoghi della nostra città.

Abbiamo così voluto riconoscere in questo patrimonio una parte fondante di quello che abbiamo costruito finora, di ciò che siamo oggi e di quello che ci serve per guardare al futuro con animo fiducioso: l'investimento nella cultura e nella ricerca del bello, la valorizzazione di quello che abbiamo, la capacità di farci domande e interrogarci su tutto quello che serve per costruire sempre di più la nostra identità.

Il Patronato di Regione Lombardia è evidente riconoscimento all'importanza e al prestigio di questa mostra, non solo dal punto di vista delle opere esposte, ma soprattutto per la riflessione che un'occasione come questa potrà suscitare ad ogni singolo visitatore e a tutti noi come comunità.

Lasciamoci provocare, allora, ancora una volta, dalla personalità di Filippo de Pisis. Dai suoi colori e dalle sue parole. Dalla sua vita segnata dalla ricerca di qualcosa di grande, e dal suo continuo invito a non sprecare l'esistenza e lasciare un segno.

Sindaco
Marco Troiano

Voleva, semplicemente, essere felice.

"Alle volte una penna di pollo, una povera penna polverosa
raccolta sulla via e contemplata in un'ora di grazia,
può esser stata il tocco spento per lo composizione
di un bel quadro, una bella natura morta,
ripiena di quel segreto spirito che sa di eterno"

Filippo de Pisis, Confessioni dell'artista

 

Trascinando i piedi per le strade polverose della Brugherio dei primi anni Cinquanta, capitava che si fermasse a raccogliere qualche oggetto: una scatola di sardine sfuggita alla pattumiera, uno straccio, la penna di un pollo, una rosa appassita. Poco dopo, nello studio ricavato nella Serra della clinica di Villa Fiorita, un delirio di pennellate lievi, spesso aspre, ma venate di poesia, trasformava quelle cose insignificanti in splendide nature morte.

Talvolta invece, durante quelle stanche passeggiate, erano un cortile, un capanno, l'angolo di una via, una prospettiva a catturare improvvisamente la sua attenzione. "Giallo di Siena! Azzurro mare!", sollecitava, e chi lo accompagnava armato degli strumenti del mestiere, gli porgeva i colori: a colpi decisi di pennello, li stendeva nervosamente e rapidissimamente sulla tela per fermare quell'attimo di pura bellezza che i suoi occhi sapevano cogliere.

Nonostante non avesse ancora sessant'anni, il viso scarno e graffiato da rughe profonde lo faceva sembrare un vecchio. La malattia, che a partire dal '49 lo aveva costretto al ricovero nella clinica di Villa Fiorita, non gli dava tregua. E la figura, un tempo imponente con i suoi quasi cento chili di peso, si faceva ogni giorno più minuta e fragile, inconsistente dentro il lungo soprabito che indossava in ogni stagione dell'anno.

Lui, che era sempre stato così maniacalmente curato nell'abbigliamento da fare dell'eleganza una forma di arte - "scarpe lucide e di buona fattura, un abito ben tagliato, un paletot inglese di tiepida stoffa, un buon paio di guanti di camoscio, una ghetta di panno, da portare solo con certe scarpe e intonato al vestito che si indossa" - ormai conservava di quel vezzo da dandy solo un cappello tirolese portato di sghimbescio e il bastone da passeggio.

Gli occhi invece, incorniciati da sopracciglia folte e spettinate, per quanto scavati e segnati dalle occhiaie, a Brugherio erano ancora espressivi, vivaci, prensili, guizzanti, capaci di cogliere la profondità del mistero nell'attimo preciso in cui esso gli si manifestava, appena prima che il tempo la corrompesse. Come accadeva negli anni "felici" di Roma, di Parigi, di Venezia quando, inseguendo il sogno di rendere eterna la bellezza di un attimo, la ritraeva in un'epifania di luci e di colori che animavano la materia, facevano vibrare la carne e ondeggiare i petali, come se tutto fosse attraversato da una sorta di ebbrezza e di euforia.

Erano gli anni delle scelte estreme, della fame di libertà e di trasgressione, del gioco del sedurre e dell'essere sedotto e di quello della recita, necessaria a esorcizzare il dramma dell'esistenza, che consumava in un perenne altalenare tra piacere e dolore, facendo della sua stessa vita un'opera d'arte. Non poteva resistere al potente bisogno di tuffarsi a piene mani nella vita, partecipandone senza risparmio, fìno alla vertigine, allo sfìnimento e, alla fìne, consumando se stesso e i suoi nervi.

Voleva, semplicemente, essere felice.

E a tratti riusciva a esserlo. Infìnitamente. Succedeva ogni volta che la Bellezza irrompeva con prepotenza nella sua anima e diventava insopprimibile l'urgenza di tradurla immediatamente sulla tela, prima che svanisse. Dipingeva a scatti fulminei, a colpi precisi di pennello, come colto da un raptus, incalzato dalle emozioni, per catturare e rendere visibile l'intensità struggente e fugace di "quel segreto spirito che so di eterno" che sta nelle cose, per loro natura destinate a morire, ma il cui estratto intimo alla fìne permane sulla tela, placando il dolore.

De Pisis, il pittore delle avanguardie, il coltissimo poeta e letterato, l'omosessuale dichiarato, il dandy raffinato ed eccessivo, l'esuberante istrione che aveva recitato la sua vita sul palcoscenico del mondo, qui a Brugherio non ebbe più né palcoscenico né spettatori e le sue inquietudini si imposero nella loro cruda nudità, galleggiando sulla tela con scarne e stenografìche pennellate. Ma, forse, fu proprio qui a Brugherio che trovò se stesso, nella desolazione di queste terre e nella semplicità dei suoi abitanti, in una visione ormai disincantata del mondo, consapevole del proprio dolore esistenziale come della malattia che lo perseguitava, senza più maschere, ma ancora capace di conservare la purezza di quello che Emma Gramatica defìnì un "caro, eterno ragazzo".

Nell'anno del 150° del Comune di Brugherio, questa mostra dedicata a Filippo de Pisis - di cui una fortunata coincidenza vuole che ricorrano il centoventesimo della nascita e il sessantesimo della morte - restituisce alla città un pezzo importante delle sue radici e della sua vocazione artistica, ma è soprattutto l'occasione per tutti di sondare la caleidoscopica e seducente personalità di un artista e di un uomo che instancabilmente inseguì la felicità, fermandola magnifìcamente sulla tela, in un verso di poesia, in un appunto di diario.

A Brugherio ha regalato qualche anno della sua più riuscita opera d'arte: la vita di un uomo dall'anima libera e intatta, capace di stupirsi davanti al mistero e di sapercelo straordinariamente mostrare attraverso i colori e le parole.

Laura Valli

Filippo de Pisis torna metaforicamente a passeggiare per le vie di Brugherio, a dipingere degli scorci, a scrivere delle liriche grazie alla prestigiosa mostra a lui dedicata, che verrà allestita nella Galleria espositiva di Palazzo Ghirlanda Silva dal 12 novembre all'11 dicembre.

Qualche concittadino ricorda ancora questo grande protagonista del Novecento artistico italiano, che tutte le mattine si recava accompagnato al Bar Italia per comprare due Alfa e girava col cavalletto sottobraccio. Il grande pittore ferrarese dalla fine del 1949 al marzo del 1956, ormai consumato da una lunga malattia, ha trascorso a Brugherio nella clinica Villa Fiorita (ora sede del palazzo Municipale) gli ultimi anni della sua vita. Aveva a disposizione la serra per potersi dedicare all'attività artistica, serra che oggi ospita il centro anziani e che porta il suo nome.

La mostra "Filippo de Pisis. Il colore e la parola" è l'evento più prestigioso del ricco calendario di iniziative pensato per festeggiare i 150 anni di fondazione del Comune e ne porta il messaggio, che l'Assessora alla Cultura Laura Valli sottolinea spiegando che questa retrospettiva intende «restituire alla città un pezzo delle sue radici rappresentando l'origine della vocazione artistica di Brugherio; il tributo a questo artista di rara sensibilità, notissimo per la sua produzione pittorica, ma anche coltissimo uomo di lettere e autore di testi e poesie di straordinaria intensità, di cui quest'anno ricorre il 120° della nascita e il 60° della morte, è per la nostra città motivo di grande importanza e orgoglio».

Accanto a una ventina di bellissimi dipinti, tutti autenticati dall'Associazione de Pisis, saranno esposti anche manoscritti originali, edizioni coeve di poesie, stralci dai suoi testi e alcune sue riflessioni scritte, in un gioco continuo di rimandi tra parola e colore, tra liriche e pittura, che ne racconteranno l'opera e la vita e sottolineeranno la sua importanza a livello internazionale.

La retrospettiva, voluta e ideata dall'Amministrazione Comunale, curata e allestita dall'associazione Heart–pulsazioni culturali, intende far luce sull'artista e sull'uomo de Pisis accostando alla sua più nota opera pittorica quella letteraria e poetica. «Il taglio della mostra, diversamente dall'ultima che il Comune ha dedicato vent'anni fa al grande artista e che si concentrava sul periodo brugherese - continua Valli – è di restituire al pubblico la sua immagine a tutto tondo: il de Pisis pittore delle avanguardie novecentesche, il dandy con ghette, monocolo e pappagallo sulla spalla, il gioioso mattatore dalla dialettica raffinata, l'omosessuale, il botanico, il coltissimo poeta e letterato.

Quello che vorremmo fosse colto è proprio che, in de Pisis, arte e vita erano due espressioni della stessa sensibilità e che i suoi occhi erano il mezzo attraverso il quale la Bellezza irrompeva con gioiosa prepotenza nella sua anima, tanto che per lui diventava insopprimibile l'urgenza di tradurla immediatamente sulla tela, prima che svanisse. Perché quegli occhi ammalati di colore, gli dicevano che quella bellezza, afferrata nell'attimo preciso in cui si manifesta, un attimo dopo è destinata a corrompersi e a morire.

La vita di de Pisis è essa stessa un'opera d'arte, che ci racconta di un Uomo dall'anima libera e intatta, capace di stupirsi davanti al mistero che palpita in ogni aspetto della vita e di sapercelo straordinariamente mostrare attraverso i colori e le parole».

Luigi Filippo de Pisis è uno dei protagonisti della scena artistica italiana della prima metà del Novecento.

Artista di rara sensibilità, notissimo per la propria produzione pittorica, de Pisis è stato anche un uomo di lettere, autore di testi e poesie di straordinaria intensità.

"Alcune mie opere non sono che una specie di canovaccio delle mie poesie", scriveva lui stesso. Per questo in mostra, accanto ai dipinti e ai disegni dell'artista saranno esposti stralci dai suoi testi e alcune sue poesie e riflessioni scritte, parte essenziale della sua ricerca artistica.

Il percorso espositivo, però, presterà un occhio di riguardo agli aspetti più umani e personali della figura di de Pisis, uomo dal pensiero moderno, folle nella sua atipicità e creatività, coltissimo e aggiornato alle culture d'avanguardia di tutta Europa.

Un personaggio che ci insegna con la sua opera e con la sua biografia quanto importante sia la libertà creativa e d'espressione, con un atteggiamento contemporaneo che certo interesserà anche i visitatori più giovani.

Tra dipinti, parole, fotografie e testi didattici che racconteranno l'opera e la vita dell'artista e sottolineeranno la sua importanza a livello internazionale, la mostra sarà dunque un'esposizione dinamica e coinvolgente, lontana dal concetto classico di antologica.

L'arte italiana del Novecento ha conosciuto maestri straordinari, dalle forti personalità.

Alcuni hanno per corso per tutta l'esistenza una strada autonoma e indipendente, talvolta difficile da inquadrare negli schemi precostituiti della storia dell'arte. Filippo de Pisis è uno di loro.

Artista originale, unico nel suo linguaggio di difficile definizione, poeta eccellente e personalità complessa e fuori dal comune, de Pisis è un uomo, ancor prima che un intellettuale e un artista, tutto da riscoprire.

La città di Brugherio, che lo ha ospitato nei suoi ultimi anni di vita, gli ha già reso omaggio in passato, ma oggi, al ricorrere dei centoncinquant'anni della fondazione del Comune e dopo vent'anni dall'ultima grande retrospettiva a lui dedicata, torna sulla sua figura, per sottolinearne il ruolo nella scena culturale italiana del Novecento ma anche per riscoprirne il carattere e l'unicità.

La mostra acquisisce un senso tutto particolare e non si limita a voler ripercorrere la produzione artistica dell'artista attraverso l'esposizione di una serie di dipinti raccolti tra collezioni ed enti pubblici e privati, ma intende anche e soprattutto fare luce sull'uomo de Pisis, alla scoperta di una personalità unica, diversa nel senso più moderno e complesso del termine.

"Spesso mi è venuto di dire che non amo che i quadri che non ho dipinto. Amo viceversa, lasciatemelo dire, alcune mie liriche pressoché inedite e che son sicuro troveranno un giorno il loro critico e esegeta", così scrive Filippo de Pisis nel 1951, tornando su un tema a lui molto caro: il ruolo della scrittura nella sua vita.

"Si ostinano a considerarmi un pittore (...), ma in realtà sono meglio come poeta", confessa a Massimo Carrà e quando, nel 1953, fa la sua ultima apparizione pubblica alla sua retrospettiva alla Galleria Ghiringhelli di Milano ostenta indifferenza per i dipinti appesi alla pareti emozionandosi invece per la lettura di alcuni suoi versi giovanili.

"Sono le migliori poesie, dopo quelle di Pascoli e di Gozzano, in lingua italiana", pare abbia commentato, pieno di entusiasmo.

Da sempre de Pisis si sente poeta più che pittore, ambisce alla fama nelle lettere ben più che a quella nelle arti visive. Eppure, strano a dirsi, nonostante gli studiosi abbiano più volte ribadito il ruolo sostanziale della parola scritta nella sua creatività, egli è ben più famoso per le sue tele, i suoi acquerelli, i suoi disegni che per le sue liriche.

Questa esposizione nasce con l'intenzione di riproporre, anche nel percorso espositivo, l'intreccio indissolubile che lega i versi e i testi di Filippo de Pisis alla sua opera pittorica, in un continuo gioco di rimandi, tra la penna e il pennello, la parola e il colore, lo stesso gioco di rimandi che caratterizzò tutta la vita di questo straordinario personaggio, complesso e indefinibile nella personalità e nello stile, nelle lettere e nella pittura.

Un uomo curioso, egocentrico, inquieto, un uomo che conosceva la leggerezza e la futilità ma frequentava il dubbio e la sofferenza, costantemente in cerca di qualcosa, in cerca di una bellezza assoluta, fuori dagli schemi imposti eppure universale.

Come scrive Valecchi, le sue poesie "emanano un senso di vita veramente felice, che è qualcosa di più che goduta, nelle pieghe di uno spirito amante e sensualmente delicato.

Con questo, la sua singolare ed amorosa pietà per le creature e le cose è pari al nitore del modo di dirla; e non importerà aggiungere per nessuno, insomma, che la sincerità delle sue commozioni, tale e quale è nella sua pittura, è anche nei versi".

La pittura e la parola di de Pisis, insieme, compongono e raccontano la "storia di un'anima", come la definiva de Pisis stesso, un'anima capace di vedere il bello e rappresentare la sensualità di un attimo di gioia, ma anche di riflettere sul fugace, l'effimero, il dolore.

In occasione della mostra sono state previste due visite guidate con la curatrice Simona Bartolena:

  • domenica 20 novembre 2016, ore 18;
  • domenica 4 dicembre 2016, ore 17.

Per partecipare è gradita la prenotazione alle visite guidate contattando la Sezione Promozione Culturale allo 039.2893.214 oppure con e-mail: a cultura@comune.brugherio.mb.it

Luigi Filippo Tibertelli nasce a Ferrara nel 1896.

Fin da ragazzo, dimostra un talento versatile e creativo e una particolare inclinazione artistica e, soprattutto, letteraria. Si iscrive quindi alla Facoltà di Lettere all'università di Bologna. Nel 1916 pubblica i Canti della Croara; lo stesso anno conosce de Chirico, Savinio e Carrà, militari a Ferrara: l'incontro influenzerà profondamente il corso della sua pittura.

Già allora si firma Filippo de Pisis, recuperando una parte poi decaduta del suo cognome di famiglia.

L'incontro definitivo con la pittura avviene nel 1923 durante il periodo che trascorre ad Assisi, e vi si dedica sempre più assiduamente durante gli anni romani fino al 1926 anno in cui decide di trasferirsi a Parigi dove rimane fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e dove la sua pittura acquisisce quella cifra stilistica che distinguerà poi tutta la sua produzione portandolo ad essere uno dei grandi protagonisti della scena artistica italiana dello scorso secolo.

Di ritorno dalla Francia si trasferisce a Milano fino al 1943 quando il suo studio viene distrutto dai bombardamenti. Si trasferisce allora a Venezia dove resta fino al 1948 quando si presentano i primi sintomi della malattia di cui soffrirà per tutta l'ultima fase della sua esistenza. Il suo stato di salute si aggrava progressivamente, contribuisce forse al suo tormento anche la delusione di non essere stato premiato alla Biennale di Venezia, dove un giuria presidiata da Roberto Longhi gli aveva preferito, nell'ambito di una mostra dedicata alla Metafisica, Morandi.

Nel 1949 viene ricoverato a Villa Fiorita a Brugherio, dove con brevi interruzioni rimarrà fino alla morte.

Qui, nella serra, gli viene allestito una specie di studio, dove il pittore potrà continuare a dipingere quadri e acquarelli trasparenti come i vetri opachi che lo circondavano, fragili ricordi di una vita vissuta senza risparmio di emozioni. Sono anni di sofferenze che si riflettono nelle opere di quel tempo estremo della sua arte, ma che non gli impediscono di dipingere costruendo una sintassi figurativa ridotta all'essenziale, ma capace di esiti all'altezza di quanto di più grande e di più moderno andava avvenendo in pittura, in Italia e fuori.

Il lungo calvario terminerà solo con la morte, avvenuta nel 1956, il mattino del 2 aprile.

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